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L'immagine della settimana

Adriano Aprà

Editoriale 17/2024

L'avventura

Alla fine degli anni 60 Adriano Aprà - scomparso il 15 aprile 2024 - ed Enzo Ungari, i ventenni di “Cinema & Film”, i nostri effimeri “Cahiers”, ereditarono ed “estremizzarono” la programmazione del Filmstudio da Annabella Miscuglio, Americo Sbardella e Paolo Castaldini, i tre magi che avevano d’incanto portato la Manhattan di Jonas Mekas in via degli Orti d’Alibert, Trastevere. Eravamo stati tutti folgorati, e Moravia lo scrisse, dalla sfrontata ed esaltante libertà dei Ron Rice e degli Andy Warhol lì, nel tempio dell’underground, nel laboratorio delle immagini ribelli, del cinema autre, dei film senza narrativa, o meglio senza “récit”, visto che, parola di Bertolucci, «la lingua del cinema è il francese». Ma tuffarsi nell’immaginario senza rete, evocato da Edgar Morin (perché anche lì si fa rivoluzione), tacitando chi ancora divideva cinema e vita, arte alta da arte bassa, o Europa Artistica da America Commerciale, per Aprà & Ungari era invitarci allo studio rigoroso (e avventuroso, in Italia non avevi aiuto) e ritrovare quel gesto “underground” di rivolta anche nel passato oscurato del cinema, che psicoanalisi, semiotica e teoria della ricezione, con sensibilità non logofallocentrica né eurocentrica, stavano intanto riesaminando, molto attentamente alla moviola, per rimettere a posto valori artistici, movimenti e cineasti colpevolmente dimenticati (cineaste soprattutto). Quali erano le immagini autoritarie? Quali erano le immagini trascendenti con le quali combatterle? Si può fare critica senza una competenza tecnologica e politico-istituzionale della macchina cinema? Ed ecco la centralità di Rossellini, Blasetti, perfino Luigi Freddi, Matarazzo e di molta letteratura angloamericana, che Aprà maneggiava come pochi ed era entusiasta di trasmettere a sempre più seguaci. Politica degli autori sottolinea “autore” o, come suggerisce Godard, “politica”? Il Filmstudio divenne così la Cineteca nazionale Autentica, che socializzava i tesori del muto e oltre con l’occhio del futuro (mentre quella ministeriale, per incuria politica, taceva): l’espressionismo tedesco, i sovietici, Buster Keaton e Dreyer, i film-saggio controculturali, i Dada movie, il camp e Sam Fuller, Chantal Akerman... Negli anni 60, il decennio più nero della storia hollywoodiana, gli effetti speciali britannici (007), le nouvelle vague euro-giapponesi, la morte dei grandi maestri californiani, la triade del cinema moderno, ad alto tasso di soggettività (Fellini, Bergman, Antonioni), gli spaghetti western avevano sconfitto sul mercato i kolossal stanchi confezionati a Los Angeles, annunciando la fine della settima arte come catena di montaggio e fabbrica dei sogni e l’emergere di una New Hollywood, un po’ francese ma anche un po’ toyotista. Intanto i bonzi della critica newyorker inveivano contro Eastwood “il fascista” e 2001: Odissea nello spazio («un disastro» per il “Village Voice”; «a monumentally, unimaginative movie» per Pauline Kael), e troppo cinema militante alla moda “spettacolarizzava” miseria, sfruttamento e lotte. Enzo è morto troppo presto ma Adriano ha proseguito, con entusiasmo fanciullesco, la sua avventura rosselliniana e postmoderna di esploratore dei media: come storico, critico di riviste e quotidiani, cineasta, adorato docente, talent scout, direttore della Cineteca nazionale e di festival, come Salso e Pesaro (il cinema iraniano e quello sudcoreano gli devono molto), traduttore di saggi fertili e nascosti, sindacalista di registi emarginati, organizzatore di convegni (con Abruzzese e Placido quello sul cinema americano degli anni 10 e 20 alla Biennale resta insuperato), retrospettive indimenticabili (Mizoguchi, Hawks...), complice di ghezzi, Germani, Melani, Farassino, Menon e Nicolini nel riempire l’Italia di programmi tv e festival alternativi, preferibilmente piccoli, collaboratore di “Trafic” (i “Cahiers” di oggi), cervello di RaroVideo, restauratore (Bargellini). E da allora e fino a oggi quella scintilla ha provocato incendi salutari ovunque. Anche su Film Tv. Sempre fuori norma.

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