Malcolm & Marie di Sam Levinson - la recensione di FilmTv

Girato durante la pandemia, in segreto ma in accordo con i sindacati di settore, Malcolm & Marie fa di limite virtù: due attori, Zendaya e John David Washington, una casa, tantissime parole da mumblecore. Tutto secondo le norme vigenti. Tutto secondo una legge - universale, ma riassunta da un francese - di coppia: «L’amore è come la legge dei tergicristallo. Quando uno si avvicina all’altro, l’altro se ne va. E quando l’altro torna indietro e si riavvicina al primo, è questo che indietreggia e se ne va» (Philippe Garrel, La frontière de l’aube). C’è solo una coppia rientrata a casa da una serata di gala, c’è la verifica incerta di un amore che si chiude dentro, che finisce (e si sfinisce) in andare e venire che, qui, sono fughe da fermo. Si comincia così: lui è euforico, lei no. L’uomo è un regista (e mai come oggi è giusto parlare solo di quel che si conosce), ma alla première, al momento dei ringraziamenti, l’unico grazie che s’è dimenticato è quello per lei, la prima sostenitrice, la musa del film: ecco il jeu de massacre da camera chiusa per legge, il thrilling del rimuginio su ciò che è stato fatto e detto prima (nota: la pandemia ha due generi possibili, il mondo è lo iato tra il Kammerspiel e il catastrofico), un film che sa scrivere perfettamente i suoi personaggi, che sa coreografare realisticamente, nel dettaglio, i suoi passi a due, e che quando sfida il contenutismo idiota dei critici, lo fa esaltandosi nella forma, compiacendosene, e giustamente: nel feticismo del 35 mm, nel b/n, nell’house porn, il cinema è solo scrittura e interpretazione dei sentimenti, e miracolo della fotogenia.