Western Stars di Bruce Springsteen, Thom Zimny - la recensione di FilmTv

Tredici meditazioni in forma di canzone che partono dal tema cardine della letteratura americana (e della politica, forse anche del cinema): la dialettica tra individuo e comunità. Non sempre facile, spesso contraddittoria, persino violenta. Bruce Springsteen descrive così il suo ultimo disco, il diciannovesimo, Western Stars, dove «scrivo ancora di macchine, come all'inizio» ma con la maturità di un artista che ha compiuto 70 anni. Il film omonimo mette in scena l'esibizione live di tutti i brani dell'album più una cover inedita (Rhinestone Cowboy di Larry Weiss, portata al successo dal cantante country Glen Campbell), con brevi introduzioni dello stesso Bruce e vecchie immagini di famiglia (non necessariamente la sua), ma anche alcuni Super8 suoi e della moglie Patti Scialfa fidanzati nella prima metà degli anni 90. Springsteen riflette sulle rese dei conti esistenziali di personaggi che gli somigliano tutti; il cuore di Western Stars, lo dice chiaramente, è la canzone che dà il titolo al disco e al film, magnifica, dove un ex attore alla Sam Shepard si è ridotto a fare spot del Viagra ma ci fu un tempo in cui a sparargli era addirittura John Wayne, sui titoli di coda. Western Stars parte un po' oleografico; quando lo sguardo aderisce alla performance musicale, in un vecchio fienile dell'Ottocento che pare un tempio neanche troppo laico, si entra però in un'altra dimensione. Fughe solitarie, cuori spezzati ma anche whisky bar di frontiera dove cercare un calore che vada oltre quello della tequila. Si inizia con un brindisi, si finisce con il fantasma di Roy Orbison che sorride a due innamorati al bancone, rimasti soli per l'ultimo giro.