Elegia americana di Ron Howard - la recensione di FilmTv

Elegia americana
Regia di Ron Howard
Osservando da vicino il vero J.D. Vance (al secolo James Donald Bowman) si scopre che il personaggio, interpretato nel film di Ron Howard da Owen Asztalos e Gabriel Basso, è vicino agli ambienti del partito repubblicano, vanta frequentazioni con l’ideologo religioso e tradizionalista Rod Dreher e si è convertito recentemente al cattolicesimo nel corso di una celebrazione pubblica. Venture capitalist (ovvero, stando alla definizione di Wikipedia, un investitore il cui «apporto di capitale di rischio finanzia l’avvio o la crescita di un’attività in settori a elevato potenziale di sviluppo»), Vance si definisce come un neo-conservatore ma critico delle politiche trumpiane che, anche secondo lui, danneggiano la classe operaia “bianca”. Ci si trova dunque di fronte alla classica contraddizione politica statunitense, incomprensibile per molti europei, nella quale populismo e libertarismo, libera impresa e tutela dei più deboli, politiche identitarie e culto delle radici s’intrecciano indissolubilmente. Steve Bannon non è lontano, anzi. Vance, rispetto a Dreher e Bannon, ha contratto un matrimonio “misto” e quindi, se non altro, sembrerebbe distante dalle retoriche razziali tossiche di questi tempi. Ron Howard, da sempre attratto dagli eroi della classe lavoratrice, tratta Vance e la sua storia di povertà bianca come una parabola esemplare di riscatto. Bullizzato da bambino per il suo essere lievemente sovrappeso (ma la voce off ci assicura che si trattava di un tempo incantato, anche se le controversie si risolvevano a suon di sganassoni facendo affidamento sulla famiglia), oppresso dalla tossicodipendenza della madre (oggi Vance è impegnato nella lotta all’eroina nella cosiddetta Rust Belt degli Usa), si tiene a galla grazie alla nonna (una specie di sergente di ferro interpretato da Glenn Close), parte militare nei marine, torna, si sposa con Usha (la sempre incantevole Freida Pinto) e diventa un capitalista di successo. Ron Howard, attraverso la storia della vita di Vance, diventata un bestseller da milioni di copie, sembra voler dire che si può anche essere di destra senza diventare Trump e conservando l’attaccamento alle proprie radici. I valori americani ne escono intatti (ma questo accade in tutti i film di Ron Howard), come la convinzione, molto astratta, di un tessuto antropologico sovrastrutturale e idealizzato che resiste edenicamente alle intemperie delle depressioni economiche e dell’involuzione del pensiero. Convinzione che può essere accolta solo come l’ennesima “canzone di esperienza e innocenza” di un cineasta fondamentalmente “americano” che ha fatto del danzare sul crinale della retorica sentimentale uno dei suoi tratti “autoriali”. La performance di Amy Adams nel ruolo della madre eroinomane colpisce perché priva di qualsiasi elemento di maledettismo, calata in una banalità mortale. Elegia americana è un titolo interessante e problematico per valutare sia lo stato del cinema americano classico oggi sia la sua capacità di intercettare il sentire di quanti ritengono che l’America venga prima degli altri.
I 400 colpi

Titolo originale: Hillbilly Elegy
Regia: Ron Howard
Genere: Biografico - Produzione: Usa - Durata: 115'
Cast: Amy Adams, Glenn Close, Gabriel Basso, Haley Bennett, Freida Pinto, Bo Hopkins, Sunny Mabrey, Stephen Kunken, Dylan Gage, William Mark McCullough
Sceneggiatura: Vanessa Taylor, J.D. Vance
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