Punto ristoro
Editoriale
Punto ristoro
«Nessuno rimarrà indietro». Ricordate le parole di Conte? No? Ricordate almeno Conte? Certo la politica sarà ancora più liquida della società, ai tempi del coronavirus, ma dei punti fermi fino a pochi giorni fa c’erano. Il principale si chiamava «ristori», di cui già Dante parlava nella Commedia come “integrazione” di ciò che è rimasto incompleto per effetto di perdite subite. Ed ecco che l’ultimo decreto sul cinema, firmato il 12 gennaio 2021 dal ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo Dario Franceschini, particolarmente attento a sostenere economicamente tutta la filiera, è stato dedicato al sostegno delle case di distribuzione, con la destinazione di 25 milioni di euro a chi ha portato nelle sale «dal 20 febbraio 2020 al 31 dicembre 2020 almeno un film di lungometraggio». Il comma n. 2 del primo articolo fila liscio come l’olio, è cristallino e soprattutto, com’è giusto, è rivolto a tutti. Ma basta passare al comma n. 3 perché inizino i distinguo e i mal di pancia per qualcheduno: «Ai fini del calcolo del contributo, sono eleggibili i film che hanno ottenuto un incasso pari ad almeno 10 mila euro». Un criterio curioso, perché automaticamente colpisce i distributori più piccoli, i film d’essai, quelli cosiddetti “difficili”. O quelli sfortunati come Sola al mio matrimonio di Marta Bergman, distribuito da Cineclub Internazionale il 5 marzo 2020, quando grandi regioni come la Lombardia e l’Emilia-Romagna erano già chiuse e nelle altre gli spettacoli serali cancellati anticipatamente. L’8 marzo invece la chiusura di tutti i cinema. Il distributore riposiziona dunque il film in seconda uscita il 1° ottobre. Tempo poche settimane e le sale sono costrette a riabbassare le saracinesche. Morale della favola? Il film non raggiunge i fatidici 10 mila euro di incasso, quindi niente ristori. Oltre il danno - le spese di distribuzione sono state sostenute - pure la beffa perché, come recita ancora il terzo comma, «sono altresì eleggibili i film per i quali era stata programmata l’uscita entro una settimana successiva alla chiusura delle sale cinematografiche». Quindi, ricapitoliamo, se un film è uscito e ha sfidato la paura del coronavirus, aiutando pure le sale cinematografiche che lamentavano la mancanza del prodotto, ma non ha incassato almeno 10 mila euro, se la prende in saccoccia, mentre se non è uscito, ma era previsto che lo fosse a ridosso delle chiusure, prende i ristori. Ora, la ratio di questo discrimine dei 10 mila euro non è proprio chiara, ma forse è figlia del fatto che la prima quota fissa per ciascun beneficiario è di 15 mila euro, mentre quella variabile si incrementa in proporzione con gli incassi. Fatto sta però che sono tanti i film, per esempio Vitalina Varela di Pedro Costa (distribuito da Zomia), Rosa pietra stella di Marcello Sannino (PFA Films), Genesis 2.0 di Christian Frei e Maxim Arbugaev (Trent Film), L’apprendistato di Davide Maldi (Movieday), incappati in questa norma capestro. Perché non “ristorarli” in proporzione? Perché far rimanere indietro qualcuno? C’è ancora il margine per rimediare. Noi ce lo auspichiamo.
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