Visioni dal fondo n° 08/2021
Visioni dal fondo
Visioni dal fondo n° 08/2021
Più di un quarto di secolo fa, il referendum del 1995 per l’abolizione degli spot durante la programmazione dei film in televisione vide schierati tra gli altri Fiorello, Mike Bongiorno e Lorella Cuccarini (insieme a Berlusconi) a favore dello status quo, contro Benigni, Grillo e il PDS, che erano per il sì. Vinse la destra, come noto e come sempre. Quella battaglia, che recava come slogan la frase felliniana «non si interrompe un’emozione», viene ormai ricordata con tenerezza. Oggi nessuno parla più della pubblicità e di quanto si infila in ogni interstizio della nostra vita - a parte gli studiosi, ovviamente, come dimostra il bel Pubblicità e cinema - Testi e contesti tra semiotica e marketing, curato da Martina Federico e Ruggero Ragonese, recentemente edito da Carocci. Paradossalmente, vediamo i film in modo più integro di un tempo. Le piattaforme streaming non hanno pubblicità se non i product placement ma almeno l’emozione non si interrompe. Altri servizi su abbonamento costringono a sorbirsi uno o due spot prima del film registrato sul decoder ma nulla di paragonabile alle televisioni commerciali, dove permane la presenza di interruzioni destinate a un pubblico lineare mediamente di età piuttosto avanzata. In qualche modo, insomma, il cinema si è riconquistato un suo spazio di unità testuale. In compenso, per tutto il resto siamo tormentati. A parte la classica scelta tra servizio free e premium (da Spotify ai giochini su smartphone), negli altri casi la pubblicità è diventata onnipresente. Non c’è video dei siti dei grandi quotidiani, o YouTube, che non preveda l’attesa di 30 secondi di promozione, senza nessun tatto per gli abbinamenti (magari ti sorbisci un allegro jingle sui biscotti prima di un servizio sui tumori infantili) così come molti siti, anche di cinema, sono costellati di pop-up e banner talmente numerosi e aggressivi che non si distingue più nemmeno il testo, costringendo a uno slalom tra le righe con il rischio di cliccare - come sperano gli inserzionisti - sulla stessa pubblicità che si voleva chiudere. Sono forme intrusive di sostentamento per l’editoria digitale. Pare vada bene così.
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