I 10 film italiani del 2018 secondo FilmTv

I 10 film italiani del 2018 secondo FilmTv
Su FilmTv n°52/2018 facciamo il punto del corso del cinema italiano nel 2018. A corredo dell'articolo abbiamo proposto la classifica dei dieci migliori film italiani arrivati in sala nel 2018.
1
Chiamami col tuo nome
di Luca Guadagnino
La statua greca uscita dalle acque, copia di Oliver, è simbolo del piacere. Elio, però, insegue il desiderio, qualcosa di non esteriore. Il sesso non come pratica, ma come “aurora”, secondo Guadagnino, che va al di là dell’incantesimo amoroso, e ci dice di una metamorfosi, della rivelazione del sé desiderante, oltre i confini di genere. Il “dio americano” è un simulacro e tornerà immobile nel bronzo. Mentre nell’aldiqua ci sono l’estate, la vita e il colpo inferto allo sguardo irritato dalla connessione tra cinema e politica.
Mariuccia Ciotta
2
Dogman
di Matteo Garrone
Mentre Marcello Fonte vince un altro premio, dopo quello a Cannes, come migliore attore (ora l’EFA), breve punto su Dogman,che si pone come sintesi delle cose (da me) più amate nel cinema in genere e in quello italiano in particolare. Non la matrice realistica ma quella fiabesca, “degenere”, d’autore ma non autoriale, sozza e viscerale senza artifici. Nella storia del canaro di Garrone (un “Lazzaro infelice”) si fondono umori popolareschi e periferia, western e horror, estetica tamarra e stilizzazione. Simply the best.
Mauro Gervasini
3
Gli indesiderati d'Europa
di Fabrizio Ferraro
Straub e Godard ringiovaniti da Ferraro, che “fa politicamente un film” e supera in effetti speciali gli eroi Marvel. La tragedia dell’esodo diventa “dramma barocco tedesco”, conflitto di linee di fuga trans-temporali e trans-spaziali: suicidio di Benjamin e sua prova generale; resa dei miliziani rossi e utopia di un’Europa altra; corpi umani in metamorfosi e natura non indifferente che reagisce e va “psicoanalizzata”, asimmetria di colore e b/n. Un road movie tattile che libera il “reale” dalla camicia di forza della “realtà”.
Roberto Silvestri
4
Lazzaro felice
di Alice Rohrwacher
Il film di Rohrwacher, a metà, si ribalta e sorprende lo spettatore. Da indagine quasi fenomenologica del mondo contadino, sulla scia dei suoi lavori precedenti, si trasforma in un film di fantascienza o di fantastoria, trasporta i suoi personaggi nel mondo d’oggi e cerca i territori impervi della fiaba e della poesia (che sono sempre un rischio, al cinema). Sotto la guida, delicata e crudele, del cinema di Sergio Citti, la regista si spinge con coraggio oltre i confini del proprio cinema e del realismo.
Emiliano Morreale
5
Loro
di Paolo Sorrentino
Sorrentino dice “loro”, ma intende “noi”. Dittico sul berlusconismo (inutile decrittare nomi e situazioni) come allucinazione collettiva di un paese. Infatti, in Loro 1, Silvio/Servillo è sempre negli occhi, nella fantasia, nel desiderio di qualcuno, persino in un tatuaggio sopra il culo di una ragazza. Quando c’è, è sempre qualcun altro, da una baiadera a Ennio Doris. In Loro 2 finisce come un povero cristo qualunque, con la moglie che gli strilla contro e una ninfetta che gli dice che ha l’alito del nonno. Lui, cioè noi.
Rocco Moccagatta
6
Menocchio
di Alberto Fasulo
Come dare corpo a un’altra immagine del mondo se non provando a strappare alle tenebre lacerti di luce in grado di penetrare nel baluginare della coscienza? Ancorato a un paganesimo contadino, Alberto Fasulo crea un film dal sapore arcaico, come di una parola riaffiorante alla superficie delle cose. Volutamente inattuale, come una lotta rimasta in sospeso. Modernissimo, quindi. E Fasulo, autore sempre più imprendibile, riafferma la singolarità della sua idea di cinema: in netta controtendenza.
Giona A. Nazzaro
7
Santiago, Italia
di Nanni Moretti
Moretti ci mette la faccia. E la parzialità. Ma è l’unico modo non per ripensare alla Storia bensì per ricrederci. E perciò ricredere a un paese (il nostro) e alle sue persone. Pare scontato, non lo è, e le ragioni sono infinite. Un documentario che sceglie la sensibilità sull’archivio, l’emozione sul repertorio, l’accessibilità sul cinema: anche soltanto per questo motivo pare fuori dal tempo (e dalle mode); e probabilmente non è casuale che la commozione sia inevitabile. Dritta, “semplice”, intensissima, travolgente.
Pier Maria Bocchi
8
La strada dei Samouni
di Stefano Savona
La piccola Amal disegna con le parole un albero che non c’è più. Siamo a Zeitun, Gaza, fra i sopravvissuti a una strage (Piombo fuso). Savona incontra quel mondo e chi lo abita. E questo è il documento. Poi c’è l’animazione. I graffi di Simone Massi che scavano la materia nera del passato, il dolore, l’orrore, che liberano dall’oblio la memoria dei Samouni, pacifici agricoltori. La realtà e la sua anima segreta. Il drone vede solo ombre, nemici. Il cinema guarda le persone e le loro storie, le contraddizioni, la speranza.
Fabrizio Tassi
9
Sulla mia pelle
di Alessio Cremonini
Borghi scompare dentro il corpo accartocciato di Cucchi, Cremonini asciuga regia e script per lasciare solo lo stretto necessario: la cronaca implacabile dei sette giorni di abusi, indifferenza e deresponsabilizzazione che hanno ucciso un ragazzo qualunque, trasformandolo in morto di stato, emblema di un fallimento irredimibile. Del film ricorderemo (anche) le proiezioni affollate, la grande emozione collettiva, il dubbio salvifico che il cinema, qualche volta, possa addirittura fare la differenza.
Alice Cucchetti
10
La terra dell'abbastanza
di Fabio e Damiano D'Innocenzo
Di gioventù sbandate e luoghi ostili, di imperscrutabili disegni del destino e riscatti illusori, di spavalderie incontrollate e autolesionismi devastanti: nella notte acida e disperata, ai margini della Capitale, due amici si giocano la vita, ribaltandone più volte la prospettiva. I gemelli D’Innocenzo esordiscono con un noir malsano, derivativo ma efficace, dove la realtà schiaccia i sogni e l’inadeguatezza al ruolo chiede il conto: il buio esplode dentro a corpi ancora acerbi.
Adriano De Grandis
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