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L'immagine della settimana

Generazione romantica

Editoriale 15/2025

Remixed by

I tempi felici, per gli amanti del cinema, non verrano presto: sono già qui. Guardate le uscite: nella stessa settimana ci sono Generazione romantica di Jia Zhangke, Love di Dag Johan Haugerud, Queer di Luca Guadagnino, Cloud di Kiyoshi Kurosawa. Che si aggiungono a Sotto le foglie di François Ozon, The Shrouds di David Cronenberg, Il caso Belle Steiner di Benoît Jacquot (mentre su piattaforma IWONDERFULL «porta dentro» le nostre case It’s Not Me di Leos Carax). Non staremo qui a fare discorsi sul perché questo tipo di cinema esce in primavera, al tramonto dell’alta stagione, quando il sole scalda e le sale si svuotano, e non ci lamenteremo del numero di cinema in cui usciranno. Lasciamo l’ammorbante compitino agli apocalittici. Il cinema c’è, i film ci sono. Cercateli. Richiedeteli. Consigliateli ai cineforum di quartiere. Sono tutti - tutti - film che dovreste vedere, capaci di proporre ipotesi di cinema forti, anche quando non particolarmente eccentriche, anche quando in punta di macchina da presa. E di interrogare - ognuno da una prospettiva differente - il presente, cioè quello di cui è fatto l’uomo e di cui sono fatte oggi le immagini, e, insieme, il passato, ovvero la storia della settima arte. Prendete Generazione romantica di Jia, uno di quei film che non assomigliano a null’altro. Nel tempo sospeso della pandemia, e mentre l’intelligenza artificiale comincia a prendersi il suo spazio, Jia riguarda al suo cinema passato, all’archivio dei suoi film, ai “dati” della sua carriera, e li ricombina. Proprio come dovrebbe fare un algoritmo ed esattamente come un algoritmo non potrebbe mai fare: cercando di tenerli insieme con quello che resta oltre il finalismo di ogni immagine, oltre il destino disegnato in ogni singolo film già consumato, oltre quello che già sappiamo e che abbiamo già visto, oltre le storie, le sinossi, le informazioni, le biografie dei personaggi, il senso preciso del singolo film. Monta, cioè, scene di sue vecchie opere lontane l’una dall’altra, ripercorre passo dopo passo la propria filmografia, aggiunge digressioni scartate e shot riempitivi, e mentre risignifica la storia delle sue immagini costruisce quella d’amore e smarrimento (nuova, e che prima non c’era) tra un uomo e una donna, tra due corpi d’attore, Zhao Tao e Li Zhubin, che sono stati personaggi diversi in ogni film e che qui sono una e uno, due, una coppia, con tempi che non trovano una quiete, che non si adagiano su un finale felice, placido, stabile, da fine della Storia. Tutto scorre, tutto cambia. Ma cosa resta? È lo spettatore, come sempre e mai come in questo caso, a costruire la continuità, il nesso, il legame tra le cose, a cercar di capire quello che unisce le immagini di quella Cina che canta, di quei paesaggi che cambiano di continuo insieme alle persone che li abitano, di quell’uomo e quella donna che li attraversano cercandosi o scappando, mutando insieme allo sfondo, antropologia e urbanistica, sociologia ed economia. Trovare una profondità, una dimensione ulteriore, alla superficie dell’immagine che scorre. Cos’è Generazione romantica? Un remix? Un mash-up? Una playlist? Un best of (anche di scene eliminate)? Un critofilm? Un’autobiografia cinematografica? Tutto questo insieme? È chiaro che oggi, quello che ci interessa, sono i film che cercano forme al passo coi tempi, dentro o contro il presente, e che creano per gli occhi di chi guarda un posto, una prospettiva, una posizione differente, illuminante, sconcertante, su mondo, Storia e immagini. Generazione romantica lo fa: ribadisce quello che il cinema sa fare, quello che uno spettatore può vedere, quello che un algoritmo, un’informazione, una comunicazione non potrebbe mai nemmeno pensare.

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