L'immagine della settimana
Editoriale 38/2024
F4
Ogni giorno un italiano si sveglia e sa che vedrà, ascolterà o vivrà qualcosa che potrà essere fulmineamente sintetizzato da una battuta di Boris. Il fatto che una serie di quasi vent’anni fa contenga, almeno a livello di audiovisivo, quel che quotidianamente accade nello Stivale, è indizio non solo della genialità di Torre-Ciarrapico-Vendruscolo, ma pure dell’incapacità tutta italiana di evolvere; e la scorsa settimana è stato (di nuovo) il turno dell’immortale sentenza di René Ferretti: «A noi la qualità c’ha rotto il cazzo!». Inevitabile ripensare a quella scena quando, lo scorso 11 settembre, è giunta la ferale notizia della cancellazione da parte di Prime Video della serie Prisma, creata da Ludovico Bessegato e Alice Urciuolo. Le motivazioni ipotetiche sono state riassunte da Bessegato in un pacato video su Instagram: probabilmente (i dati di fruizione non vengono divulgati) Prisma «andava bene, ma non abbastanza bene da giustificare il costo di una terza annata». Le storie di Andrea e Marco, di Daniele, Carola e Nina si spezzano così sul cliffhanger con cui si chiudeva la seconda stagione, e per gli spettatori seriali veterani non è certo la prima volta; di cancellazioni premature è piena la storia del piccolo schermo, ma vale la pena tentare di approfondire un po’ che cosa questa cancellazione in particolare significhi rispetto all’evoluzione delle piattaforme streaming. Prisma è stata una boccata d’aria nel panorama televisivo italiano, un prodotto intelligente, scritto con sensibilità e brillantezza, curato nel minimo dettaglio, dalla colonna sonora strepitosa all’attenzione per la rappresentazione delle minoranze che era la missione principale dell’opera: i protagonisti sono una manciata di adolescenti di Latina e dintorni, che vivono la scoperta di sé affrontando il peso e la gioia di essere queer, o non binari, o in transizione, o diversamente abili, tutte tematiche trattate senza retorica né facili escamotage, ma normalizzando l’infinito (prismatico) spettro delle esistenze. Uno show inclusivo ma soprattutto di ottima fattura, capace di elevare a potenza l’esperienza di SKAM Italia guardando a modelli stranieri per stile e struttura narrativa, ma al contempo ancorando saldamente le storie a un’ambientazione specificamente e inequivocabilmente nostrana. Il 12 settembre l’hashtag #saveprismalaserie era in cima ai trending topic italiani su X, e la petizione su Change.org per chiedere a Prime il rinnovo della serie ha raggiunto, mentre scriviamo, quasi 13 mila firme; un pubblico affezionato, per Prisma, esiste e si fa sentire, ma si tratta comunque di una nicchia. E qui subentra la modalità René Ferretti con cui la maggior parte delle piattaforme streaming gestisce il futuro dei propri prodotti: sono lontanissimi, nonostante siano passati meno di due lustri, i tempi in cui lo streaming pareva l’alternativa alle major, il luogo dove realtà più sofisticate, ambiziose e, appunto, rivolte a un pubblico esigente e circoscritto potessero trovare l’auspicata libertà creativa. Prime si era lanciata nella produzione di serie originali con titoli come Transparent, dramedy familiare stratificata e audace; probabilmente oggi un progetto simile non vedrebbe mai la green light, perché le piattaforme hanno un crescente bisogno di prodotti accessibili, immediati, che si rivolgano a un pubblico ampio. Lo diciamo da tempo: i colossi dello streaming agiscono sempre più come le generaliste, perché in quest’era di sovraffollamento di piattaforme non possono permettersi di coltivare una nicchia, bensì hanno bisogno di far crescere il numero di abbonati con titoli rassicuranti, magari ripetitivi, già visti, ma di acclarata efficacia. E la qualità? Risponde René.