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Editoriale 50/2024
Chi non inganna non guadagna
Uno dei prodotti italiani più visti nel 2024 è Inganno: una serie Netflix prodotta da Cattleya, diretta da un regista che amiamo come Pappi Corsicato (Chimera è ancora uno dei vertici assoluti del cinema italiano del nuovo secolo), rifacimento della miniserie britannica Gold Digger, scritto dalla buona intellighenzia letteraria di Teresa Ciabatti insieme a Eleonora Ciampelli, Flaminia Gressi, Michela Straniero. 25 milioni di visualizzazioni (anche se poi bisognerebbe capire cosa sono, queste visualizzazioni) in tutto il mondo. Sulle pagine della nostra rivista l’ha recensita (sul numero 43/2024) Rocco Moccagatta: pollice giù, voto 4, chiusa precisa: «Delusione cocente». Giona A. Nazzaro e Luca Pacilio non concordano: i loro voti sono un 8 e un 7. Io la recupero solo ora. Ed è un caso di studio d’estremo interesse. La storia è quella di Gabriella (Monica Guerritore), sessantenne ricca albergatrice lasciata dal marito per un’amica e amante più giovane, e minacciata da una famiglia che vuole interdirla per la liaison con un bellimbusto depilato, con un passato non troppo liscio e con la metà dei suoi anni (Giacomo Gianniotti). «Circonvenzione d’incapace» accusano figli ed ex. O forse è inconcepibile che un corpo maturo di donna possa essere desiderato e desiderare? È chiaro che sia uno dei passi della piattaforma verso la televisione generalista (compensando poi, al polo opposto, cioè quello della ricerca di qualità DOP, con l’autorialismo fuori misura di un Iñárritu o con la prestige tv di Ripley), e dice bene Moccagatta citando le fiction di Tarallo-Losito con Garko e signore. Inganno è un capolavoro di cerchiobottismo da piattaforma, un prodotto estremo (e quindi parodico, e forse autocritico) di estetica tardocapitalista. Protagonista con età anagrafica superiore alla media degli utenti di Netflix per adescare nuove (vecchie) fasce, ma anche (per il pubblico in target) figli stretti dentro stereotipi identitari del tempo, un millennial cripto-gay, un generazione Z bisex con daddy issue, una giovane influencer superficiale con stalker. E poi il tema femminista contro lo stigma della vecchiaia a troneggiare, certo, anche se con Monica Guerritore (che di anni ne ha 66 e paradossalmente interpreta una di 60) si vince facile, e Corsicato lo sa, accontentando ogni orientamento, etero basic compresi: se la protagonista è un corpo “non conforme” lo è alle leggi del tempo, non al gusto del maschio bianco cis e via elencando, vedere per credere. Quel che ne esce è una soap opera sexy (Canale 5, sì, ma anche un poco di softcore dei nostri tempi, da Cinquanta sfumature al polacco 365 giorni), in cui Corsicato lavora come sempre, con il suo gusto insieme trash ed elegante, dentro il linguaggio del tempo, qui però senza uscirne mai, se non con piccoli tocchi, guizzi, forzature: modula un fuoco di fila demente ed esasperato di colpi di scena irrelati e gratuiti, contempla l’enigmatica e impenetrabile opacità bovina del personaggio maschile, il tutto al fine di mettere in crisi, di continuo, la posizione e la speranza dello spettatore: cioè che sì, sia vero amore e non inganno, che certo un corpo di donna maturo possa essere desiderato e desiderare. È una serie che si diverte, che è seria ma non ci crede, perché tutto sa di pop con retrogusto consapevole, di secondo grado non esplicito, di ironia trattenuta, di pessimo gusto ricercato e gongolante. È un guilty pleasure che sa d’esserlo, ma si gode anche se non ce ne si accorge. Altro che complex tv.