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Editoriale 43/2025
La violenza di una resistenza
«Le classi superiori d’Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari. Il popolaccio italiano è il più cinico de’ popolacci. Sono incalcolabili i danni che nascono ai costumi da questo abito di cinismo». Giacomo Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani, 1824. Oggi, i più implacabili corruttori dei costumi sono gli opinionisti/polemisti, in special modo quelli televisivi, ma anche le tweet star : presenzialisti, cronisti (dell’ovvio), catastrofisti, conformisti (per quanto si dannino a dimostrare l’opposto) e via discorrendo, ma soprattutto cinici. I loro scontri spesso assomigliano a un’«orgia di cinismo, ironia, brutalità pratica, compromesso, glorificazione della propria identità nei connotati della massa». È Pier Paolo Pasolini a cogliere i tratti dell’odierno spettacolo a cui assistiamo dall’orlo estremo dei nostri schermi. È il 1963 e dalle colonne di “Il giorno” il poeta, presentando ai lettori le ragioni che lo hanno portato a realizzare Il Vangelo secondo Matteo, individua questi caratteri nell’«uomo moderno» a cui contrappone la figura di Cristo che, nelle sue intenzioni, «dovrebbe avere la stessa violenza di una resistenza: qualcosa che contraddica radicalmente la vita come si sta configurando». Ragioni che lo porteranno a dichiarare: «Sono come Cristo. Mi identifico con lui perché come lui pago questo mio rifiutare totalmente il mondo nel quale vivo» (un discorso che “culminerà” il 31 maggio 1975 quando Pasolini, partecipando alla performance Intellettuale di Fabio Mauri, si farà proiettare addosso sequenze del suo Vangelo - in particolare quelle di Maria, interpretata nel film da sua madre Susanna, ai piedi della croce -, lasciandosi così trafiggere dalle sue stesse immagini, crocifiggere dalla propria crocifissione). Già nel 1949 scriveva: «Bisogna esporsi (questo insegna/il povero Cristo inchiodato? Sacrificare ogni giorno il dono/Rinunciare ogni giorno al perdono/Sporgersi ingenui sull’abisso)». Una «disperata/passione di essere nel mondo», di «restare/dentro l’inferno con marmorea/volontà di capirlo»; è con questo slancio che Pa solini intraprende l’attività di editorialista - opinionista/polemista diremmo oggi - su il “Corriere della Sera”. Come evidenzia Roberto Chiesi in Pasolini - Il fantasma del presente (1970-1975), «scrisse accanitamente. Analizzò il corpo dell’Italia e degli italiani. Ne nacquero centinaia di pagine di una critica della modernità che egli definì “corsara” e “luterana” per sottolineare la propria assoluta e intransigente solitudine e indipendenza di pensiero, lontano da qualsiasi cortesia». Il bisogno di «gettare il proprio corpo nella lotta» porterà Pasolini a “compromettersi” anche con le logiche del nascente agone televisivo, senza per questo mai accettarle, anzi; a dimostrazione la registrazione della trasmissione III B facciamo l’appello (disponibile su RaiPlay) in cui Pasolini, incalzato da Enzo Biagi, spiega per quali motivi in tv non può dire tutto: per il «mezzo di massa in sé: nel momento in cui qualcuno ci ascolta dal video ha verso di noi un rapporto da inferiore a superiore», perché «in genere le parole che cadono dal video cadono sempre dall’alto. Il parlare dal video è sempre parlare ex cathedra, anche quando questo è mascherato da democraticità». Il rispetto verso il lettore/telespettatore per Pasolini non si è mai tradotto in un gioco al ribasso; il suo discorso non si è mai rivolto alla pancia, ma ha sempre cercato, in ogni intervento, di spiegare con semplicità la complessità. Non c’è da parte sua una presa di distanza rispetto al contesto, lo dimostra anche la sua ultima intervista rilasciata a Furio Colombo il 1° novembre 1975, poche ore prima della morte, intitolata Siamo tutti in pericolo. E se anche il discorso in certi passaggi si articola in contrapposizione tra “io” da una parte e “voi” dall’altra è perché il primo denuncia la propria maggior esposizione all’orrore di cui tutti - lui così come gli altri - sono testimoni: «Con la vita che faccio io pago un prezzo. È come uno che scende all’inferno. Ma quando torno - se torno - ho visto altre cose, più cose. Non dico che dovete credermi. Dico che dovete sempre cambiare discorso per non affrontare la verità».




