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L'immagine della settimana

Bill Viola - Martyrs (Earth, Air, Fire, Water)

Editoriale 30/2024

Un nuovo battesimo

Non sono sicuro di essere la persona giusta per raccontare chi è stato Bill Viola (New York, 25 gennaio 1951 - Long Beach, Usa, 12 luglio 2024). Di certo - nel momento in cui la videoarte sta registrando la scomparsa della generazione precedente, quella dei Vito Acconci, Dan Graham, Richard Serra, Woody Vasulka, ma anche di Jean-Luc Godard, che al video ha dato tantissimo - sentivamo di poter contare su di lui ancora per un po’. Sono 11 anni che all’Università IULM di Milano tengo un Laboratorio di videoarte e installazioni audiovisive, eppure, finora, non ho mai affrontato direttamente Bill Viola. E non perché non ne riconoscessi la statura - so benissimo che abbiamo a che fare con un gigante. Solo, la svolta presa dal suo lavoro attorno alla metà degli anni 90, quando ha incominciato a realizzare i grandi affreschi “digitali” che lo hanno reso immortale, l’avevo vissuta in un primo momento quasi come una sua resa. Mi spiego. Mi sono sempre appassionato a quegli artisti che preferivano l’accadere all’accaduto e che dunque nel video avevano trovato la forma perfetta per la loro ricerca - perché permetteva una forma di flusso (vitale) e non di preformata concatenazione narrativa. Quindi, a quel tempo, mi era sembrata una regressione vederlo tornare, in fase di ripresa, al 35 mm e così impiegare interpreti, comparse, insomma rifare il cinema. Proprio nel momento di passaggio cruciale dall’analogico al digitale, vederlo, con The Greeting (1995), voltare le spalle alla dimensione più povera, evenemenziale, fluida, per andare in direzione del set tradizionale, m’era apparso non dico un tradimento, ma certo una rinuncia. Il mio percorso artistico è partito dall’amore per l’opera di Studio azzurro - nonostante poi, alla fine, abbia fatto soprattutto cinema - e mi sono sempre sentito vicino alla dimensione della sperimentazione video, alle sue provocazioni teoriche. Come quella di Peter Greenaway, che era convinto avesse fatto molto di più Bill Viola per la nostra comprensione del mondo attraverso le immagini che Martin Scorsese. Ebbene, quando nel 2003 Viola presentò Emergence (2002) all’interno del Duomo di Milano, seppur prevenuto, anch’io ero tra i presenti: nell’edificio apparve questo lavoro che mostrava una figura sorgere e risorgere dalle acque. Un lavoro tipico della svolta prima accennata. L’emozione, me lo ricordo, fu fortissima nella cattedrale affollata all’inverosimile da una folla raccolta in una contemplazione rituale, religiosa. Da lì in avanti le sue opere sono state proposte con sempre maggior frequenza all’interno dei luoghi sacri: nella Cattedrale di St. Paul a Londra, a San Marco e San Sepolcro a Milano, nella Chiesa del Carminiello a Toledo di Napoli; o, ancora, nella chiesa di San Gallo a Venezia, dove venne installata la bellissima Ocean Without a Shore (2007), un’opera nella quale tornava a confrontarsi con l’ossessione della soglia, del confine - basti pensare a lavori celebri come il seminale The Reflecting Pool (1977-1979), o, ancora, a Nantes Triptych (1992), che mostrava immagini della vecchia madre filmata in procinto di lasciare la vita accostate a quelle della nascita di un neonato. Ecco, in quel lavoro visto a Venezia, composto da tre schermi al plasma, si vedevano affiorare e poi avanzare figure fantasmatiche, brulicanti, in bianco e nero, che nel momento in cui attraversano un velo d’acqua diventavano ad altissima definizione, con colori vividissimi: come se fosse un venire alla vita delle immagini in piena presenza assieme a noi nello spazio dell’abside. Se ritorno a quell’esperienza nel Duomo comincio oggi a pensare che Viola stesse facendo qualcos’altro: c’è sì un debito maggiore verso il cinema, nella svolta digitale della sua opera; ma allo stesso tempo sembra, proprio per il cinema, indicare uno spazio diverso. Come l’invito a ritrovare un certo tipo di attenzione, capace di restituire all’immagine la dimensione sacrale del raccoglimento: visto che la sala cinematografica, sottoposta alle logiche dell’intrattenimento e dei pop corn, non era più il luogo del rito, bisognava andare alla fonte, all’origine. Non era però una regressione. Era un richiamo verso l’attenzione che stiamo perdendo. Un nuovo battesimo per tornare a dare peso a quelle immagini che oggi trattiamo con indifferenza, come fossero cose inerti da far scivolare via col colpo di un dito sullo smartphone, senza dar loro valore e consistenza. Questa rilocazione della visione all’interno di luoghi sacri oggi m’appare come il tentativo di farci risorgere come spettatori capaci d’attenzione e di stupore. E, anche, insieme, di restituire all’immagine una sua profonda vitalità. Alla fine, grazie al vostro invito, ho dovuto raccogliere dei pensieri attorno a Bill Viola: l’anno prossimo gli dedicherò un monografico nel mio corso di laurea.

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