Home

L'immagine della settimana

Oppenheimer

Editoriale 12/2024

Let me take a selfie

Ogni anno, la cosa più difficile - ma anche più interessante - da capire degli Oscar è capire cosa ci sia da capire degli Oscar. Le discussioni sul merito di vittorie e sconfitte rischiano di mancare il punto: oltre all’ovvia soggettività di ogni scelta, gli Academy Award sono una macchina elettorale e promozionale gigantesca, e ogni stagione dei premi prende corpo via via, coagulando interessi collettivi, piani industriali, sensibilità e singole idiosincrasie dei circa 10 mila votanti. Una volta spazzati via i lustrini dal tappeto rosso, anche le elucubrazioni su modalità e strategie (per esempio: Lily Gladstone avrebbe agguantato la statuetta se avesse corso come non protagonista?) sono come il commento tecnico dopo una finale sportiva: utile e appassionante solo per gli addetti ai lavori. Però, se gli Oscar sono il selfie che l’industria hollywoodiana fa ogni anno a se stessa, è sensato chiedersi cosa fotografi. Quest’anno l’award season, a causa degli scioperi di sceneggiatori e soprattutto attori, è stata a lungo in forse, e poi compressa in appena due mesi, un tam tam senza tregua di premi precursori (dai Golden Globe ai SAG, con pure gli Emmy nel mezzo, slittati da settembre) che hanno accresciuto una generale sensazione d’inevitabilità: la vittoria di Emma Stone è parsa una sorpresa non tanto perché davvero inaspettata (per Povere creature! l’attrice si era già portata a casa il BAFTA, il Critics Choice Award, il Golden Globe e numerosi altri premi), ma perché quella tra lei e la summenzionata Gladstone era l’unica gara ancora davvero aperta. Del trionfo di Oppenheimer - sette premi, tutti grossi: film, regia, attori, montaggio, fotografia, musiche - è inedita soprattutto una caratteristica: era da esattamente 20 anni, dal 2004 di Il signore degli Anelli: Il ritorno del re, che a dominare non era uno dei maggiori successi al botteghino, e dunque che i gusti e gli obiettivi dell’Academy non si allineavano a quelli del pubblico. Comunque, anche la consacrazione di Christopher Nolan ha dovuto passare per un “addomesticamento”: per quanto originale, e puramente nolaniano, Oppenheimer resta un biopic, il genere “da Oscar” per eccellenza. Anche la tanto chiacchierata esclusione di Barbie (comunque presentissima durante la cerimonia, continuamente evocata tra le battute di Jimmy Kimmel e la splendide esibizioni di Ryan Gosling e di Billie Eilish) ha più a che fare con la discriminazione che da sempre subisce la commedia (figuriamoci la commedia per ragazzi!) che con quella che (comunque ancora) colpisce le donne nel cinema (c’entra anche, è importante specificarlo, un allargamento internazionale e festivaliero del corpo votante, soprattutto nel branch dei registi: derivano da qui, probabilmente, le nomination e le vittorie di Triet, Glazer, Miyazaki, Povere creature!, Godzilla: Minus One). A proposito di discriminazioni, forse nel frattempo in tanti se ne sono dimenticati, ma questo 2024 era l’anno in cui entravano per la prima volta in vigore le contestatissime (soprattutto in Italia) “norme sull’inclusività”, quelle necessarie (solo) per correre nella categoria miglior film, quelle che secondo qualcuno avrebbero ucciso la libertà artistica dei grandi autori, e obbligato i produttori a inserire a forza e a caso donne e minoranze, e imposto l’agenda della temibilissima dittatura del politicamente corretto. Ha trionfato Oppenheimer, non esattamente un melting pot transfemminista. Forse sarebbe il caso di iniziare ad andare oltre i selfie.

I nostri poster

Iscriviti alle newsletter di Film Tv

La collina degli stivali

I nostri poster

FilmTv.Press è una pubblicazione di Tiche Italia s.r.l. - p.iva 05037430963 - Registrazione Tribunale di Milano n° 109 del 6 maggio 2019
Credits - Contatti - Supporto tecnico - Satispay
Privacy Policy