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Goff Goff

Editoriale 28/2025

Colpevole d'amore

In un Salone del libro di Torino fu chiesto a Goffredo Fofi di leggere un racconto o brani di un romanzo importante per la sua formazione. Lo ha scritto lui stesso, in un articolo per ”Avvenire” postato su Dagospia.com: «Scelsi infine di parlare di un lungo racconto di James Joyce che chiude Gente di Dublino (1907). Ha per titolo I morti (The Dead), e qualche lettore ricorderà il capolavoro, il suo ultimo film, che ne trasse il regista di origine irlandese John Huston. Secondo Romano Bilenchi, tra i maggiori scrittori italiani di appena ieri, I morti di Joyce è il più bel racconto scritto nel Novecento. Sono stato in dubbio fino all’ultimo se leggere al posto di quello uno o due racconti di Tolstoj che riflettono sullo stesso mistero, La morte di Ivan Il’ic e il meno noto Tre morti. Scelsi I morti di Joyce e vorrei che tutti lo leggessero o rileggessero perché la parte finale del racconto, di straordinaria serenità e bellezza, canta il destino comune, canta la neve che scende su campagne e città dell’Irlanda e scende sui vivi e scende sui morti, nella piena coscienza che i vivi li raggiungeranno». Senza confortevole manto di neve, Goffredo se n’è andato con il sole a picco, lo scorso 11 luglio a 88 anni, e ci mancherà, non solo perché era un amico onesto, un fratello maggiore/zio/padre (dipende dalla vostra età) tenacemente fustigatore, un punto di riferimento sicuro al quale rivolgersi o con il quale confrontarsi su, credo, qualsiasi argomento culturale, politico, sociale, “umano”. Ma anche perché aveva quel non so che di ostinatamente solare, di “positivo”, che finiva per rasserenarvi anche se avvolti dal più nero pessimismo rispetto al mondo attuale. Ci vorrebbe un volume per riassumere quello che è stato Goffredo Fofi per la cultura italiana, le riviste che ha fondato e chiuso, le battaglie che ha combattuto, le persone e i personaggi che ha ammirato e con i quali ha litigato. Quanto al cinema, be’, ha scritto tanti libri, tra i quali quello fondamentale e crudele sul quale abbiamo studiato in tanti (Il cinema italiano Servi e padroni), e ha sempre continuato a occuparsene, perché in fondo era il suo grande amore, e (spesso) un amore colpevole. Non mi riferisco a Totò, del quale è riuscito a sdoganare il genio a livello critico. Gli piacevano film che non vi aspettereste: quelli di fantascienza (come la letteratura sci-fi), e gli horror, i noir, i thriller, e persino certi improbabili mélo inglesi stile Regency fatti di belle avventuriere e nobili perversi. L’autentico cinema popolare, in pratica, che ha sempre difeso, contro troppo snobismo. Anche dalle pagine di Film Tv, dove parecchi anni fa (più di una ventina ormai) teneva una rubrica che s’intitolava Goff Goff e nella quale parlava di volta in volta di cinema, o di fumetti (altra sua grande passione), libri, teatro, giornali, fatti, storie, attraverso i quali rifletteva sul mondo. Sempre con quel suo spirito caustico, sempre con quel sorriso dolce e quegli occhi scintillanti (diciamolo: Goffredo Fofi è stato anche un uomo molto bello, in tutte le età della sua vita). L’icona che identificava la sua rubrica era la sua immagine, in piano quasi americano, mentre impugnava il bastone, compagno onnipresente da parecchi anni, un po’ per necessità un po’ per vezzo. Gli piacevano e sosteneva il lavoro dei giovani, come aveva sempre sostenuto il lavoro delle donne. Amava e rispettava gli animali tanto da essere vegetariano. Ci ha insegnato e ci ha aiutato a essere critici, sempre curiosi, il più possibile indipendenti, liberi. In movimento perenne, com’è sempre stato lui. E come ci piace continuare a immaginarlo.

FilmTv 28/2025

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