Cecilia Ermini
Lampi di genio visivo che lacerano nonostante l’errore (costante) della sceneggiatura: Costanzo riscrive l’orrore dell’animo e dei corpi in un affascinante puzzle bipolare ingiustamente bistrattato.
Zuffi era un imberbe scenografo, Flaiano l’eccelso cesellatore di copioni e Carmelo Bene il genio iconoclasta. Un melange ad alto rischio scult ma che si tramuta nel noir più interessante degli anni 70.
Il classico al potere: melodramma bellico può sembrare ossimorico ma l’austero austriaco Zinneman e il frastuono delle bombe di Pearl Harbor non riescono a zittire i gemiti bagnati d’oceano.
Louis Malle ha sempre flirtato con l’autobiografia malinconica e infantile: dopo tanti soffi al cuore, qui giunge alla pacata rimembranza bambina che si intrufola nelle pieghe bestiali della Storia.
Una scrittura filmica intensa ed esasperante come il più sfrenato degli amplessi: solo De Palma seduce (e mai abbandona) l’occhio dello spettatore, perso (come non mai) nel più sensuale dei vortici.
Il tormento e l’estasi dell’adolescenza nella rabbia (giovane) incarnata dallo strepitoso Dean. Elia Kazan fonde tragedia privata e dramma della Storia con la consueta limpidezza di sguardo.
La poesia musicale di Wagner e quella visiva di Cocteau si fondono in una fiaba fiammeggiante (nonostante il bianco e nero), romantica figlia del realismo poetico francese.
Il capolavoro probabilmente: otto flashback tentano di ricostruire la personalità di una donna fieramente selvaggia nell’appassionante perfezione cinematografica di Joseph L. Mankiewicz.
Un omaggio alla Giungla d’asfalto del noir americano che non si concede né al genere né alla spettacolarità. Solo Melville (qui anche attore ) ha il potere di sublimare ogni contraddizione.
Esempio di equilibrio perfetto tra dramma e commedia che regala momenti di indimenticabile surrealismo (la racchetta scolapasta) e uno sconvolgente finale di rara potenza sentimentale.
Del racconto di Flaiano non è rimasto che qualche brandello poiché l’attenzione di Ferreri è per la solitudine, l’incomunicabilità e la degradazione nell’apocalisse urbana e dell’uomo.
L’immenso Richard Brooks filma con estremo e lucido rigore una parabola sull’Inferno insito in ognuno di noi, senza concedere spiragli alla speranza né alla spettacolarizzazione hollywoodiana.