1. Personal Shopper di Olivier Assayas
La storia di una donna in attesa dello spettro del fratello, la storia di una giovane (interpretata da una divetta) che per lavoro veste una divetta. Il pedinamento di un'icona contemporanea (l'imbronciata Kristen Stewart) che è un corpo a corpo amoroso, la luce guida di un cinema uguale solo a se stesso, girato in pellicola e aperto al mondo dei fantasmi digitali, un film che prova a prendersi i binari di genere, il giallo
stalking e la storia di fantasmi CGI, per sfuggirli sistematicamente, trovando una forma concreta al narcisismo contemporaneo, all'
Eva contro Eva 2.0 (che è solo e soltanto una lotta allo specchio), e ai sogni e agli incubi sempre connessi col mondo.
2. Neruda di Pablo Larrain
Neruda e la dittatura, Neruda in fuga, Neruda e la parola, Neruda e la politica. Ma, soprattutto, un sublime racconto duale, una di quelle storie competitive in cui i personaggi (Neruda e lo sbirro) si scrivono e reinventano reciprocamente, in cui sono uno l'immagine dell'altro, e in cui il Mito riconosce la propria mitografia, perché sa riconoscere la storia con la s minuscola, il nemico come parte incancellabile di sé, e se stesso come il frutto di un paese.
3. Ma loute di Bruno Dumont
Romeo e Giulietta tra aristocratici e sottoproletari, tra attori professionisti e non professionisti, scene e scenette di una di lotta di classe impossibile: ognuno è rinchiuso nel proprio ceto incestuoso, nel proprio mondo ammaccato e handicappato, nella propria idea acquisita di mondo. Se Ptit Quinquin era la parodia infantile del cinema di Dumont, Ma loute si rivolta contro Ptit Quinquin. Cinema d'autore scientemente demente, comico fuori misura, che sfinisce i propri gag, che chiede allo spettatore di non cedere a un discorso, a un pensiero già dato, al ripetersi di uno schema.