Le serie della settimana

Quel gran genio della sua amica - Fuori(le)Serie #033

È molto vero, questa settimana comincia L'amica geniale e molte delle nostre risorse cognitive seriali andrebbero concentrate su mamma Rai; ma perché rinunciare alle acrobazie narcotiche della seconda stagione di Narcos: Messico? O a due serie documentarie importanti come Who Killed Malcolm X? e Visible: Out On Television?

 

NETFLIX

Who Killed Malcolm X? (Usa, 2020) - dal 08/02/2020
Fra i pregi migliori di internet c'è quello di aver fatto sbizzarrire e moltiplicare i complottisti. E, proprio come i pokémon a cui si ispirano, ce ne sono di ogni tipo. Quelli con il cappello a barchetta fatto di carta stagnola per non farsi leggere il pensiero dagli alieni, dal governo o dagli alieni al governo; quelli della Terra piatta, delle scie chimiche, dei microchip, dell'oro nazista, di Bilderberg e dei Rothschild, dell'Area 51 e di tutto ciò che i potenti ci tengono nascosto per il loro interesse. Poi ci sono quelli che mettono in discussione l'ordine costituito e la storia inscritta nelle carte della burocrazia. E non si vestono di carta stagnola. Quelli come Abdur-Rahman Muhammad, un uomo sui 50 anni che di giorno fa la guida turistica e la sera si mette davanti al suo pannello di sughero con le foto attaccate con le puntine collegate da un filo rosso (versione romanzata) per cercare di svelare la verità – e con essa, di conseguenza, provare la malafede e le bugie dell'ordine costituito – sull'assassinio di Malcolm X. La versione ufficiale è che il leader carismatico della lotta ai diritti civili, portavoce dell'anima più radicale della protesta, sia stato ucciso (era il 19 febbraio del '65) da tre membri della Nation of Islam, la setta islamica militante da cui Malcolm X aveva da poco preso le distanze per fondare un'altra organizzazione, la Muslim Mosque, Inc. Il dubbio è sempre stato che a ordinare l'eliminazione di Malcolm X sia stato il governo, anche se i complottisti non si sono mai accordati sui veri responsabili, indecisi tra polizia, FBI e CIA. A sentire il procuratore distrettuale di New York attualmente in carica, che dopo la pubblicazione di questa miniserie ha deciso di riaprire (dopo 55 anni) il caso, i dubbi sulla torbidità della versione ufficiale sollevati da Muhammed (e raccolti dai registi Phil Bertelsen e Rachel Dretzen) sono più che legittimi.

My Holo Love (Corea del Sud, 2020) - dal 08/02/2020
Questi giorni post Oscar e post trionfo di Parasite si sono rivelati campali per due tipi di commentatori cinematografici, gli GnèGnè e i Puristi. Gli GnèGnè si lanciano in ogni variante possibile del “Ve l'avevo detto io/Sono anni che ve lo predico/E adesso chi è che comanda eh?”. I Puristi scagliano anatemi all'idea che la sacra cinematografia coreana possa essere contaminata dal tocco di troppi ignoranti occhi occidentali. Nel mezzo i Mesti, che annunciano come il cinema coreano sarà vittima di una speculazione per cavalcare il successo di Bong & co. e finirà prosciugato dalla troppa esposizione, con il mercato occidentale inondato da qualsivoglia prodotto audiovisivo sudcoreano: la massa distoglie attenzione dalla qualità.  Hanno tutti le loro ragioni: cinema e tv coreani (nonostante la qualità) non sono mai stati per tutti, molte persone vi si approcceranno per moda e altrettanto velocemente se ne dimenticheranno quando uscirà il nuovo film di Wes Anderson, e ci sarà un'invasione indiscriminata di film e serie tv per mungere lo zeitgeist. Ma finché spuntano cose pazzerelle come My Holo Love va anche bene. La premessa è che So-yeon – ragazza affetta da prosopagnosia congenita (l'incapacità di riconoscere i volti) e che vive in solitudine – si ritrova rocambolescamente in possesso del prototipo di Holo, un paio di occhiali che permettono di entrare in contatto con un'avanzata intelligenza artificiale, che appare solo all'utente e nei panni di un ologramma che ha le fattezze di Yoo-jin, l'inventore del dispositivo. So-yeon comincia a utilizzare Holo – che segue tre regole di base: il consenso del suo padrone, il rispetto della legge e l'incapacità di mentire – e presto se ne innamora, senza sapere che il vero Yoo-jin è sulle tracce della sua invenzione e non sembra particolarmente simpatico. 

Io e i sette nani (Francia/Italia, 2017) - dal 12/02/2020
Disney si è appropriata delle fiabe dei fratelli Grimm e compagnia favoleggiante (Perrault, Andersen e via dicendo) nel modo più violento e radicale possibile: associandole a un'iconografia talmente riuscita e seducente da soppiantare la parola scritta degli originali. Da quel momento si è dovuto accettare il fatto che le fiabe si sono evolute – per certi versi in meglio, radicando universalmente i propri messaggi e le proprie morali – e Disney può disporne come crede: seguiti, prequel, reboot, remake, spinoff. Da una parte è un peccato, perché nessuno ha mai pensato di infastidire Shakespeare con un sequel di Amleto – tanto i fantasmi li aveva già sdoganati il primo capitolo. E dall'altra parte è sempre un peccato, perché di solito non ne esce mai roba sopraffina. Inoltre, quella di Disney è una prassi, un cattivo esempio oramai in voga. Per esempio sono questi francesi che, in combutta con Rai Fiction, hanno deciso di produrre una miniserie dedicata a bambini e pre-adolescenti in cui si narrano le vicende di Neve, undicenne che all'improvviso scopre di essere la bis bis bis bis nipote di Biancaneve. In pacchetto con il nobile lignaggio le vengono anche recapitati i sette nani d'ordinanza, che in questo sequel non richiesto si chiamano Goloso, Coccolo, Misterio, Sapienzio, Ingenio, Broncio e Chiccoso. Capite perché no? Poi la serie è adorabile e innocua e poco memorabile come tutte le serie programmate per ipnotizzare i target di quella età. Ma intanto: Chiccoso. 

Narcos: Messico (Usa, 2018) - Seconda stagione dal 13/02/2020
Prima un breve riassunto delle puntate precedenti, e poi via che ci si rituffa nella non troppo magica realtà parallela del traffico della droga, quella cosa che sappiamo essere vera ed enorme e palpabile (anche se non la tocchiamo con mano) perché comunque ne vediamo gli effetti, senza contare i cadenzati promemoria di film e serie tv “ispirati a eventi realmente accaduti” (fra poco sarà anche la volta di ZeroZeroZero, dal 14 febbraio su Sky Atlantic e dal 6 marzo su Amazon Prime Video). Dopo tre stagioni di Narcos in Colombia, con la storia dell'ascesa al potere dei cartelli di Medellin e Calì, l'azione si era spostata in Messico per seguire la parabola di Miguel Ángel Félix Gallardo (Diego Luna), che da ex poliziotto con una prospettiva favorevole sulle dinamiche del traffico della droga si era pian piano trasformato in El Padrino. Prima capo del solo cartello di Guadalajara, quindi promotore del consorzio con gli altri cartelli messicani (Sinaloa, Tijuana, Juarez) per mettersi di traverso allo strapotere dei fornitori colombiani, fino a diventare plenipotenziario dittatore del passaggio di droga sul confine tra Messico e Stati Uniti. Sulla sua strada, nella prima stagione, si era messo l'agente infiltrato della DEA Kiki Camarena (Michael Peña). Dal momento che entrambi i personaggi sono ispirati a persone reali, non esistono spoiler. Dunque si preparassero: Camarena viene scoperto da Gallardo e orribilmente torturato. La morte dell'agente trasforma la DEA in Super Saiyan, spingendola a lanciare la più imponente operazione di sempre contro il traffico di droga. L'obiettivo: detronizzare Gallardo e punire, tra le altre cose, la sua tracotanza. 

Le ragazze del centralino (Spagna, 2017) – la seconda parte della quarta stagione dal 14/02/2020
Lidia che in realtà si chiama Alba ne ha passate tante da quando è arrivata a Madrid e ha infaustamente perso di vista il suo amato, è sempre divisa tra l'amore di Carlos e quello dell'anima gemella perduta che risale al paese mio che stai sulla montagna Francisco, ha avuto una figlia Eva, si stava sposando con Carlos ma la chiesa è andata a fuoco e la suocera ha rubato la figlia Eva a Lidia perché INTRIGHI, poi gliel'ha fatta credere morta, Francisco si è preso una pallottola per salvare la bambina, è sopravvissuto al piombo ma è in coma, nel 1931 (a qualche anno dall'inizio della serie) Lidia vive more uxorio (scandaloso) con Carlos (noooooo), ma nel frattempo c'è anche l'amica e collega di Lidia che si chiama Carlota e decide da un giorno all'altro che vuole diventare sindaca di Madrid nonostante sia il 1931 e insomma complimenti per essere avanti anni luce, ma Carlota deve affrontare INTRIGHI che la portano in carcere con accuse ignominiose ma che noi sappiamo non essere vere (#FreeCarlota) e comunque alla fin della fiera è tutto un riempitivo in attesa di sapere cosa succederà tra i piccioncini divisi dal fato Lidia e Francisco. Oh mamma, è complicato stare dietro a certe cose. Però se volete imbarcarvi in una soap opera travestita da dramma in costume e che spinge tutti i tasti corretti sulla plancia del punto di vista femminile, l'inizio dell'ultima parte della quarta e conclusiva stagione di Le ragazze del centralino, la prima produzione originale spagnola di Netflix, è un buon pretesto per recuperare la serie completa. 

 

RAIPLAY

L'amica geniale (Italia, 2018) - Seconda stagione dal 10/02/2020
Ecco la seconda stagione di L'amica geniale, in onda sul caro vecchio televisore, ma contemporaneamente anche sulla cara nuova piattaforma di streaming. Il sottotitolo ufficiale è Storia del nuovo cognome, perché così si chiama il secondo romanzo nella tetralogia scritta da Elena Ferrante da cui è fedelmente tratta la serie ideata da Saverio Costanzo. Il sottotitolo ufficioso, invece, dovrebbe essere L'emozione di una serie italiana che senza spocchia può renderci orgogliosi in tutto il mondo. Merito del materiale di partenza, una serie di romanzi che (per sintetizzare) ha la rara grazia di far sembrare facile il complicato, di intrattenere con la semplicità non banale di una voce unica e intima, che riesce anche a insinuarsi senza prediche nell'intuizione dell'universale. E merito pure dell'amorevole – e fortunatamente, grazie alla co-produzione fra HBO, Rai e TIMVision, anche ricco di mezzi – adattamento tv studiato da Costanzo (con la stretta collaborazione della scrittrice) che, forte della partenza lanciata dalla cristallina narrazione di Ferrante, si è potuto concentrare sulla scelta delle facce corrette per portare in vita la pletora di personaggi, e sulla cura di una messa in scena studiata fino all'ultimo dettaglio, teatrale e simbolica ma anche filologica e asciutta, presa in mezzo tra neorealismo e stilizzazione. Avevamo lasciato Raffaella, Lila, 16enne e sull'altare, pronta a cominciare un'incredibile nuova vita con il fidanzato Stefano, ma favori passati chiesti alle persone sbagliate (leggi: la famiglia Solara) tornano a mordere nel didietro la coppia. A osservare il tutto, la migliore amica barra rivale barra yin dello yang di Lila, Elena (detta Lenù, voce narrante della serie) che continua nel suo percorso di studi, parallelo e speculare a quello di Lila.

 

APPLE TV+

Visible: Out On Television (Usa, 2020) - dal 14/02/2020
Tratto da una storia vera: “Questa settimana segnaliamo nel palinsesto dello streaming anche Visible: Out On Television?” “Cosa sarebbe?” “Una miniserie documentario che tiene traccia della rappresentazione LGBTQ nella storia della tv americana” “E quanto dura? Cinque minuti?”. Rullo di tamburi e schiocco di charleston, attimi di silenzio imbarazzato, applauso al rallentatore che si trasforma in ovazione. Non è una storia facile, quella della rappresentazione queer nel piccolo schermo americano. La prima menzione dell'omosessualità nella tv statunitense risale al 1954, quando ABC trasmise in diretta l'udienza straordinaria della Sottocommissione investigativa del Senato che discuteva le accuse di ingerenza formulate dall'esercito nei confronti del senatore pubblicano e famigerato cacciatore di comunisti Joseph McCarthy. In questa scoppiettante sede, quella teppa di McCarthy (o chi per lui) ebbe a dire, dimostrando di essere in tutto e per tutto al passo con i tempi feudali, che l'omosessualità era da considerare una minaccia per la sicurezza nazionale. Se questa è la partenza della rappresentazione LGBTQ sugli schermi televisivi, si può solo immaginare che da lì in poi sia andata meglio. E invece. Visible ha la dote di raccontare le esperienze personali (spicca su tutti l'intervento di Billy Porter) di chi, fra i creativi che hanno lavorato e lavorano in tv, ha subito sulla propria pelle la mancanza di rappresentazione – o, ancor peggio, le conseguenze di una rappresentazione sbagliata, parziale e retrograda – intervallandole con uno scavo profondo negli archivi, concentrandosi non solo sul linguaggio seriale narrativo di sitcom, drammi e soap opera, ma esplorando anche le cronache e i reality. Il risultato, e dev'essere una consapevolezza ricorsiva nella Storia, è che l'umanità ha fatto schifo, fa tuttora schifo, ma lo sappiamo e facciamo in modo di parlarne.

 

NOWTV

The Leftovers (Usa, 2014) - dal 12/02/2020
Un applauso a quel centravanti di razza di Damon Lindelof, che dopo l'incidente in galleria del finale di Lost ha imparato dai suoi errori: ovvero non promettere a tutti i costi una spiegazione univoca a un mistero misterioso creato al solo scopo di creare atmosfera, dare un'ambientazione stimolante a personaggi simbolici e stratificati e, perché no, prendere al gancio spettatori curiosi e bisognosi di cliffhanger fumosi. Nella sua fatica successiva – The Leftovers, creata nel 2014 per i tipi di HBO in cambio di tre stagioni (28 episodi) di totale libertà creativa – Lindelof ha messo immediatamente e chiaramente le mani avanti: sto per mettervi di fronte a un mistero misterioso di cui non vi fornirò mai e poi mai una soluzione, che di riffa o di raffa sarebbe deludente e incoerente con lo scopo della serie. Raccontare, non svelare. Incentrare la narrazione su un gruppo di personaggi, i loro sentimenti e le dinamiche che si vengono a creare fra loro a partire dal mistero misterioso, e non allo scopo di svelare il mistero misterioso. L'evento inspiegabile da cui trae le premesse The Leftovers assomiglia molto alla Dipartita (o Rapimento) di biblica memoria, l'evento raccontato nell'Apocalisse di Giovanni che descrive l'ascesa al cielo dei buoni cristiani: da un momento all'altro, dalla faccia della Terra scompaiono 140 milioni di persone, il 2% dell'intera popolazione mondiale. A Lindelof (e al suo co-sceneggiatore Tom Perrotta) interessa raccontare il cupo e paralizzante senso di colpa dei sopravvissuti, il caos (reso più anarchico e spezzettato dal demone del dubbio) dell'umanità in ricostruzione, il timore dell'inspiegabile, la ricerca di una possibile cura ai malanni collettivi del genere umano, la scienza in lotta con la fede, il libero arbitrio in lotta con il destino. In mezzo, tra le pieghe, c'è tanto altro e anche tutto il suo contrario, e di tanto in tanto The Leftovers si trasforma in un flusso che ha del lynchiano, meno rigoroso e più dozzinale, ma anche più attento ai suoi personaggi.

 

- questa rubrica settimanale esce il venerdì per consigliarvi come distruggervi di binge watching intensivo durante il fine settimana -

Nicola Cupperi

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