L'unione [a distanza di sicurezza] fa la forza

Servizio pubblicato su FilmTv 17/2020

L'unione [a distanza di sicurezza] fa la forza


Quale sarà il futuro del cinema in italia? L’abbiamo chiesto ai diretti interessati: produttori, distributori, registi, esercenti e direttori di festival.

Con questa inchiesta cerchiamo di fare il punto della situazione, in attesa che cominci l’agognata Fase 2, la riorganizzazione sociale imposta dalla convivenza con il coronavirus. Abbiamo incalzato, e soprattutto ascoltato, rappresentanti di tutta la filiera cinematografica: produttori, registi, distributori, esercenti, direttori di festival. Ognuno a suo modo al servizio degli spettatori, ognuno impegnato a ripensare un futuro che non può che essere prossimo, per evitare danni economici irreversibili. La sensazione è che ci sia - finalmente - una sinergia autentica tra le varie categorie, nella consapevolezza che si possa, anzi si debba, superare il momento tutti insieme. Una collaborazione tra le parti per adesso sviluppata in forma di dialogo e proposte, la ricerca di una sintesi tra posizioni in passato non sempre vicine (si pensi alle diverse esigenze tra esercenti commerciali e d’essai, o alle varie anime della distribuzione, o alla “rivalità” tra festival) ora invece rivolte senza ipocrisie verso un orizzonte comune. Ma tutti gli intervistati non mancano di sottolineare l’esigenza di una “regia” di questo processo. Una regia inevitabilmente politica che sappia dare indicazioni precise sulla ripartenza, in termini sanitari prima di tutto, economici e finanziari subito dopo. Si guarda al ministro della cultura Dario Franceschini, il cui compito non è certamente facile ma al quale si consiglia lucidità nel fare sintesi e prudenza (la sua boutade sul «Netflix della cultura italiana» non è piaciuta ad alcuni dei nostri interlocutori, forse più per i modi e l’inopportunità del riferimento che per il senso della proposta). Lo scenario evidenziato dalla nostra inchiesta ci sembra tuttavia positivo. Ogni operatore ha ben chiara la posta in gioco, il rischio per i lavoratori del settore (a partire dalle maestranze) e le prospettive. E tutti esprimono un certo prudenziale ottimismo, nella certezza diffusa che, comunque vada, della sala non si potrà mai fare a meno

  • [PARLANO I PRODUTTORI] Quando il gioco si fa duro...

    Il pensiero dei produttori corre subito alle sale, e non potrebbe essere diversamente. Paolo Del Brocco (Rai Cinema) è molto chiaro: «Ci preoccupa l’esercizio, il settore che sta soffrendo di più. Come 01 Distribution, abbiamo deciso di aspettare la riapertura delle sale, perché abbiamo una responsabilità in più nel tutelarle. Senza sala non c’è cinema. E riprenderemo dai film che c’erano quando tutto si è interrotto, da Muccino (Gli anni più belli, ndr) e da Diritti (Volevo nascondermi, ndr)». È d’accordo anche Alessandro Usai (Colorado Film): «Visto che molti titoli previsti per l’autunno non saranno pronti, il rischio è che manchi il prodotto. Certo, poi, con le regole di distanziamento sociale e gli accessi contingentati, i film con ambizioni di box office avranno bisogno di più spettacoli, di una tenitura più lunga e di più copie». Resta la possibilità di uscire sulle piattaforme streaming. Del Brocco: «Non siamo in linea di principio contrari, anche per sostenere i produttori, però noi come 01, per il momento, questi film alle piattaforme non li diamo, per essere chiari». E pure Usai ribadisce: «Colorado Film fa tre o quattro film all’anno, con una chiara ambizione commerciale, per noi la sala è importante. La scelta spetta soprattutto alla distribuzione». Fulvio Lucisano (IIF) ha scelto di uscire on demand con 7 ore per farti innamorare, co-prodotto con Vision: «Abbiamo deciso di provarci, perché è un film fresco, per giovani, che magari frequentano di più le piattaforme. Invece il seguito di Non ci resta che il crimine uscirà al cinema». Certo, c’è anche un’altra questione, chiosa Gregorio Paonessa (Vivo Film), perché «bisognerà capire se per questi titoli che saltano la sala si darà corso alla deroga sul prioritario sfruttamento cinematografico in sala, pena la decadenza dei benefici di legge nell’uscire subito in tv o sulle piattaforme». E poi riflette: «Spero che non ci sarà un’ulteriore erosione del pubblico della sala, dovuta alla maggiore dimestichezza con la fruizione domestica di cinema sulle piattaforme di streaming maturata in questi mesi, oltretutto su titoli in prima visione destinati alla sala, anche blockbuster Usa e qualche titolo italiano». Però, Usai è meno pessimista: «Le ricerche ci dimostrano che già oggi gli alto-frequentanti di cinema e i fruitori più intensi di OTT sono molto sovrapposti. Ci potrebbe essere anche una corsa ad andare al cinema. La verità è che quello che succederà davvero non lo sa nessuno». Intanto i set restano chiusi e bisogna gestire bene quel che c’è. «Come film finiti o quasi finiti, pronti per l’autunno/inverno» fa i conti Del Brocco «ne abbiamo una decina almeno: Moretti, Manetti, Mainetti, e diversi altri. Il problema si porrebbe per la prossima primavera». Anche Usai almeno una certezza ce l’ha: «Fortunatamente, il nostro film di Natale per Medusa, 10 giorni con Babbo Natale, sequel di 10 giorni senza mamma, è praticamente concluso. Sarà uno dei pochi film forse disponibili per il prossimo Natale. Anzi, sarei fiero se fosse uno dei primi film italiani che torni a far sorridere i nostri amici esercenti». Piuttosto, aggiunge Paonessa, «in questo momento, da produttori indipendenti, ci preoccupa anche il non poter contare con certezza sui grandi festival come vetrina per presentare i nostri film, come quello nuovo di Susanna Nicchiarelli». Però le istituzioni ci sono, come precisa Del Brocco, perché «questa cosa ci ha colpito tutti e ci ha unito, com’è successo anche nel paese, e si pensa a uscirne tutti insieme». E Paonessa rilancia: «Ora, all’interno e tra le varie associazioni di categoria della filiera, c’è un dialogo quotidiano, con un’intensa e partecipe collaborazione del Ministero per i beni culturali e della sua Direzione cinema».

    «Spero che non ci sarà un’ulteriore erosione del pubblico della sala, dovuta alla maggiore dimestichezza con la fruizione domestica di cinema sulle piattaforme di streaming maturata in questi mesi»
    GREGORIO PAONESSA 

    Rocco Moccagatta
  • [PARLANO I DISTRIBUTORI] Arene estive e sale virtuali

    Il 20 aprile 2020 Europa Distribution, il network dei distributori indipendenti europei, e FIAD, la Federazione internazionale delle associazioni dei distributori cinematografici, hanno diffuso una dichiarazione congiunta (www.fiad.eu/news) riguardo la crisi COVID-19 e le misure di supporto che chiedono di adottare. In attesa di capire quali saranno i provvedimenti politici che riguarderanno il cinema, partiamo dai dati certi: come dichiara Roberto Proia, Executive Director Theatrical and Productions di Eagle Pictures, «non c’è cosa peggiore che privarti di una cosa per far capire quanto manca». Franco di Sarro, fondatore e amministratore delegato di Nexo Digital, racconta che «per far fronte alla cancellazione del Mercato internazionale dei programmi televisivi si è pensato di ideare uno spazio virtuale per poter ricreare un market place». Senza dubbio, sostiene Eddie Bertozzi, Film Acquisitions & Marketing di Academy Two, «riuscire ad approntare una strategia precisa non è semplice. Questo è dovuto all’impossibilità di avere un orizzonte chiaro su quando le sale riapriranno», anche se lo scenario più probabile, dice Antonio Medici, amministratore delegato di BIM Distribuzione, «è tra fine agosto e settembre. Una riapertura prima complicherebbe le cose: conosciamo i problemi che affronta il cinema in quel periodo dell’anno. In questa prospettiva le arene, che consentono una modalità di fruizione più protetta, possono svolgere una funzione di traino». Sia Medici sia Proia ritengono che quella delle arene sia un’occasione per proporre delle anteprime, anche perché, come fa notare quest’ultimo, ci sono «più di 100 film che aspettano di essere distribuiti, oltre ai nuovi che arriveranno». Per evitare una carneficina, alcuni, dice Bertozzi, «hanno deciso di distribuire i film direttamente sulle principali piattaforme digitali. Una scelta interessante, ma alla portata di realtà dal carattere più spiccatamente commerciale». Per Proia (Eagle ha fatto uscire on demand Un figlio di nome Erasmus, a cui seguiranno altri titoli) questa è una pratica che non hanno intrapreso volentieri e non vorrebbero avesse un seguito. «Per noi è importante ritornare in sala. Piuttosto, vanno pensati nuovi modi per informare sull’offerta di film lo spettatore, ancora troppo abituato a scegliere cosa vedere una volta arrivato al cinema; un’abitudine che il distanziamento sociale disincentiverà». Secondo Letizia Gatti e Alessandro Del Re di Reading Bloom «per molte sale, se ci sarà la misura contingentata, non avrà senso riaprire, tenendo conto delle difficoltà che ci saranno dopo che, per mesi, queste sono state raccontate come dei possibili luoghi di “infezione”. Sarà necessario attrezzarsi per attivare nuovi pubblici: determinante la possibilità per i monosala di organizzare una multiprogrammazione». Secondo Medici «questa grande crisi avrà come effetto quello di accelerare un fenomeno già evidente: che la sala è sempre più destinata a film in grado di convincere la gente a uscire di casa, mentre tanti altri titoli dovranno trovare forme diverse per arrivare al pubblico e l’aumento di consumi digitali verificatosi in questo periodo può essere una risorsa». «La frontiera fra esercizio cinematografico e online è sempre un terreno minato. Quello che si sta tentando di fare», come constatato da Bertozzi «è cercare forme alternative che possano coinvolgere (e quindi sostenere) anche gli esercenti». Di Sarro dichiara che sono già al lavoro per costruire la loro prima sala virtuale, «una piattaforma tecnologicamente avanzata capace di andare incontro alle necessità dell’esercizio italiano e internazionale». Per Gatti e Del Re «bisogna evitare che sul VOD si riversino le stesse problematiche della sala. Diventa imprescindibile un dialogo tra produzione, distribuzione ed esercizio, anche tra realtà indipendenti (consapevoli di quanto sia scivoloso questo termine) per progettare un modello di piattaforma (già attivo in altri paesi europei) che includa tutti soggetti della filiera».

     

    «Ci sono più di 100 film che aspettano di essere distribuiti, oltre ai nuovi che arriveranno»
    ROBERTO PROIA

    Matteo Marelli
  • [PARLANO I REGISTI] Come si cambia

    Carlo Verdone aveva appena concluso la promozione di Si vive una volta sola, quando l’emergenza coronavirus lo ha sospeso in un limbo: «Voglio capire come evolve la situazione, ma so bene che ci sarà un problema psicologico per gli spettatori che magari, al primo colpo di tosse in sala, scapperanno». Questa emergenza ci ha cambiato i connotati. Non ci riconosciamo più dentro a un cinema: «Ma anche con il distanziamento» – continua Verdone «ai domiciliari di lusso» – «se una sala da 300 posti diventa da 80, mi chiedo quanto possa incassare un film… Allora, mi dicono, “vai sulle piattaforme!”; ma il mio film è costato una certa cifra e con loro ti ripaghi al massimo la promozione. E poi ho un contratto con gli esercenti, a cui sono molto legato». Questo è il lato più pragmatico della vicenda e non certo meno importante. Ma c’è anche quello più teorico, che racconta di come tutto questo ci cambierà: «Dove c’è una crisi» teorizza Antonietta De Lillo, che sta finendo di montare un ritratto di Lucio Fulci oltre al suo autoritratto, L’occhio della gallina, «c’è la possibilità di un cambiamento. Mi sento chiamata in prima linea a immaginare nuovi mondi, come far entrare nella nostra vita questo avvenimento così forte e traumatizzante. Io sono stata pioniera del film partecipato, che altro non è che una narrazione collettiva specchio di una società di mezzo che, tra solo supereroi o solo superdelinquenti, molto spesso non viene raccontata. Ma non ho in mente nessun film sul virus, perché mi interessa di più raccontare i nostri sentimenti, la nostra intimità, il nostro essere individui isolati. Con la speranza che alla fine di questo tunnel ci ritroveremo più umani». Anche Carlo Sironi, il cui esordio Sole, presentato a Venezia 2019, era in procinto di uscire in sala in molti Paesi (dalla Francia alla Colombia), non sa se questa pandemia verrà raccontata sul grande schermo, ma cerca un paragone nella storia del cinema; anche se - ragiona - «non si trovano situazioni equivalenti, una cosa che un po’ gli si avvicina è la crisi missilistica tra Usa e Cuba. Per parecchio tempo gli americani hanno creduto di essere sull’orlo di una crisi nucleare. Poi la Guerra fredda è rimasta e tanti film l’hanno raccontata. Io però sinceramente non avrei voglia di vedere dei film che parlano direttamente di questo virus, perché bisogna sempre un po’ trascendere la realtà». Che è il pensiero di Verdone: «Credo che il pubblico vorrà storie piene di leggerezza e ottimismo per lasciarsi alle spalle tutto questo, ma in futuro un riferimento nei dialoghi lo inserirò, se no sembrerà un film fuori dal tempo. Si è fermata la Terra, come puoi non dirlo?». Ma c’è un altro timore: l’insostenibile leggerezza delle piattaforme. Perché - dice De Lillo, che lavora a una serie tv su Napoli col filo conduttore della musica dagli anni 70 a oggi - «il virus ha solo accelerato una cosa che era già nell’aria. Il grido di dolore delle sale cinematografiche preannuncia cambiamenti radicali». «Bisogna però anche considerare» sottolinea Sironi, al lavoro su una nuova sceneggiatura, «che le piattaforme sono entrate nella nostra vita da poco. Io penso che la sala sia imprescindibile, perché le arti si usufruiscono nel luogo dove sono state pensate. E poi l’eterogeneità delle sale favorisce quella che io definisco una sorta di biodiversità dei film, diversamente dalle piattaforme, consentendo ancora un cinema che si affida alla personalità del regista».

    Pedro Armocida
  • [PARLANO GLI ESERCENTI] Porte aperte

    Prima un po’ d’ordine. Se lo spettatore è l’utilizzatore finale del cinema in sala, l’esercente occupa il gradino subito precedente nella filiera. Con le sale chiuse da fine febbraio la stagione si è letteralmente spezzata. Sono a rischio posti di lavoro e l’esistenza stessa delle sale. Scriviamo queste righe prima della promulgazione del Decreto aprile che potrebbe dare un orizzonte certo alle riaperture, quindi si ragiona sulle anticipazioni. La più preoccupante parla addirittura di dicembre, ma su questo punto qualche esercente è più ottimista. Per esempio Andrea Cervini, direttore generale del MIV, Multisala Impero, nove sale in una zona centrale di Varese: «Speriamo ci si possa organizzare per una riapertura in autunno, con un po’ di anticipo sul Natale. L’occasione potrebbe essere l’uscita in contemporanea mondiale del nuovo 007, No Time to Die, prevista per il 25 novembre 2020; oppure a ottobre con qualche titolo italiano, penso per esempio a Si vive una volta sola di Carlo Verdone, che doveva uscire il 27 febbraio 2020». Ci si chiede come riapriranno le sale, ovvero con quali modifiche per ottemperare alle esigenze di distanziamento sociale. «Nell’immediato non abbiamo in programma alcuna modifica strutturale» spiega Cervini «aspettiamo i protocolli dal governo, cioè dobbiamo sapere esattamente come si potrà riaprire per non rischiare investimenti in ristrutturazioni inutili. Per noi è fondamentale la prudenza adesso, in mancanza di linee guida specifiche». Forte ovviamente la preoccupazione per i mancati incassi: «Troppo presto per fare o ipotizzare un bilancio economico adesso, chiaro che la stagione è compromessa. Se le condizioni sanitarie lo permetteranno, speriamo di recuperare qualcosa a fine anno. Per un multisala come il nostro il lavoro estivo con formule tipo arene o drive-in è molto relativo e poi a questo giro rischieremmo di non avere i film da proiettare, visto che la linea commerciale delle uscite, penso ai blockbuster americani come Top Gun 2, è bloccata». Cerca altre forme di organizzazione il comparto d’essai. Allo studio due formule di fruizione in streaming in collaborazione con i distributori: una appoggiandosi a una piattaforma esistente, con l’esercente che venderebbe biglietti virtuali pari alla capienza della sua sala pagando il noleggio (al distributore) e la SIAE; un’altra attraverso una piattaforma gestita direttamente dalla distribuzione che poi verserebbe all’esercente una percentuale sul biglietto. «Lo streaming, però, non potrà mai sostituire la sala» sostiene Giacomo Caldarelli del Postmodernissimo, multisala d’essai di Perugia «e per quanto riguarda le arene estive, sulla proposta di convertirle in drive-in sono scettico: come si fa, in Italia, quando a luglio e agosto fa molto caldo, a restare in auto due ore senza aria condizionata? Senza considerare che la tipologia delle macchine da noi non è quella americana, con i lunotti molto grandi. Rischi di vedere poco e male». Pensa positivo Sandra Campanini, vicepresidente FICE (l’associazione degli esercenti d’essai) Emilia Romagna e responsabile programmazione del Rosebud di Reggio Emilia: «Sono convinta che alla ripresa il desiderio di vedere film in sala sarà rinvigorito. Le visioni domestiche coatte, come dice Ken Loach, sono una tendenza disastrosa. Noi vogliamo essere pronti alla riapertura cominciando a ragionare delle arene estive. Per esempio, lo spazio delle proiezioni di Reggio Emilia ha 500 posti: non sarà difficile, riducendoli, mantenere le distanze sociali, e lo spettacolo unico favorirà la sanificazione. Per le procedure aspettiamo anche noi le indicazioni precise da parte del Ministero».

    Mauro Gervasini
  • [PARLANO I DIRETTORI DI FESTIVAL] Lo spazio intorno al film

    Se il festival digitale è già diventato realtà, grazie alle recenti esperienze di CPH:DOX e Visions du réel, non tutti gli addetti ai lavori vedono nella formula la soluzione agli effetti nefasti del lockdown sulle manifestazioni culturali. «Quanti si renderanno conto del fatto che una parte di SXSW o di Tribeca ha effettivamente avuto luogo online? È impensabile che i festival con una certa storia e struttura accettino di trasferirsi in toto sul digitale» sostiene Alberto Barbera. Per il direttore della Mostra di Venezia, la tecnologia potrà essere solo il supporto a un evento imprescindibilmente legato all’incontro fisico e al grande schermo: «Occorrerà certamente tener conto del distanziamento sociale, di determinate restrizioni. Si potrà procedere con conferenze stampa in streaming, o panel fatti utilizzando le piattaforme». Sulla stessa lunghezza d’onda è anche Alessandro Stellino, neodirettore del Festival dei popoli di Firenze: «È il discorso intorno al film - masterclass, eventi collaterali -, più che il film stesso, a poter beneficiare della digitalizzazione. Se si va integralmente online, invece, il film rischia di perdere la sua centralità». «Una proposta per il web innovativa, e che non nuocerà al futuro dei film» è, non a caso, anche uno dei punti fondamentali del piano straordinario che Stefano Francia di Celle, neodirettore del Torino Film Festival, sta approntando per l’edizione 2020, insieme a «una politica di allargamento degli schermi cittadini con un programma itinerante, per rilanciare i presidi culturali della periferia». Perché «il festival di cinema è divenuto soprattutto una rete di relazioni e di condivisione, che necessita di un luogo fisico», come ricorda Luca Mosso, direttore di Filmmaker Festival di Milano. Che guarda con un certo disincanto all’indigestione audiovisiva che ha caratterizzato la quarantena: «Lo shock di questi mesi corrisponde a un periodo di tre-cinque anni, in termini di accelerazione del processo che sta portando la visione dei film lontano dal grande schermo e in direzione delle piattaforme digitali». Tra le tinte fosche, si sta però facendo strada anche la consapevolezza che solo il superamento della competitività esasperata tra simili, in favore del dialogo, sia la base da cui ripartire. «Nelle ultime settimane ho constatato una maggiore solidarietà di settore» conferma Barbera. «D’altronde, come ripeto sempre, non ha senso farsi la guerra: non sono i festival o i direttori di festival a scegliere i film, ma sono i film a scegliere i festival». Per Pedro Armocida, direttore della Mostra del nuovo cinema di Pesaro, «è opportuno anche che i festival provino a rinunciare alle anteprime esclusive dei film, proprio nell’ottica di aiutare gli autori a far circolare le loro opere». All’esigenza di una maggior cooperazione tra simili si aggiunge quella di un intervento pubblico mirato: «Ci sarà un graduale ritorno al mondo in cui la sala cinematografica riveste un ruolo centrale per la diffusione del cinema, ma senza politiche di sostegno perderemo sia questi luoghi, sia, di conseguenza, le manifestazioni cinematografiche». Secondo Mosso: «È il decisore pubblico che deve ritenere ancora “interessante” la funzione dei festival. Ma lo spazio pubblico in tutto questo che fine ha fatto? Nel momento in cui la sfera pubblica si esaurisce, c’è anche un problema di tenuta democratica». A questo scopo l’AFIC (Associazione festival italiani di cinema) ha diffuso un questionario (https://forms.gle/5zENiJkYYehhQmKb8) rivolto a tutti i festival attivi sul territorio nazionale, per realizzare una mappatura aggiornata di quel che succede in ogni regione. La presidente di AFIC Chiara Valenti Omero: «Ogni giorno c’è un nuovo comunicato di un festival rimandato a data da destinarsi o annullato. Ma, senza un coordinamento, il dopo preoccupa ancor di più, perché si rischia un sovraffollamento deleterio nel periodo tra settembre e novembre, in cui tutti stanno fissando le nuove date delle manifestazioni».

     

    «È impensabile che i festival con una certa storia e struttura accettino di trasferirsi in toto sul digitale»
    ALBERTO BARBERA

    Emanuele Sacchi

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